Storia della mia vita*
di Giacomo Casanova
Un paio di giorni dopo, approfittai dell’invito del barone Bodissoni, un veneziano che voleva vendere al re un quadro di Andrea del Sarto, per recarmi a Potsdam a salutare Sua Maestà, come il Lord Maresciallo mi aveva consigliato. Il re era alla parata come suo solito, e stava passeggiando a piedi. Appena mi scorse, mi venne incontro per domandarmi quando contavo di partire per Pietroburgo.
«Fra cinque o sei giorni, sire, se Vostra Maestà me lo permetterà».
«Le auguro di fare buon viaggio. Ma cosa spera di trovare in quel Paese?»
«Quel che speravo di trovare qui, sire: le compiacenze del sovrano».
«È stato raccomandato all’imperatrice?».
«No, sire. Ho solo una raccomandazione per un banchiere».
«A dire il vero, questa è la raccomandazione più importante. Se al ritorno passerà di qui, sarei felice di avere da lei notizie su quel Paese. Addio».
Questo fu il secondo colloquio che ebbi con quel grande re. Poi, però, non lo rividi più. I giorni successivi mi congedai da tutte le mie conoscenze e ritirai dal barone Treiden una lettera indirizzata a Kaiserling1, grande cancelliere a Mittau, alla quale era allegata un’altra lettera per la duchessa di Curlandia. L’ultima sera la passai con la dolce Denis, cui vendetti la carrozza.
Partii con duecento ducati in tasca, che certo mi sarebbero bastati fino alla fine del viaggio, se non ne avessi perduto la metà a Danzica, in una piccola partita di piacere con alcuni giovani mercanti. Quel piccolo incidente, per altro, mi impedì di fermarmi qualche giorno a Königsberg, dove ero raccomandato al feldmaresciallo de Lehval2 che era il governatore della città. Ci rimasi, infatti, solo un giorno, per avere almeno l’onore di pranzare con quell’amabile vecchio, il quale, tra l’altro, mi diede una lettera per il generale Vojakow3, che viveva a Riga.
Avevo abbastanza denaro per arrivare a Mittau da gran signore, e perciò presi una carrozza a quattro posti, trainata da sei cavalli e in tre giorni fui a Memel, con Lambert che non fece che dormire durante tutto il viaggio. Nell’albergo dove scesi trovai una virtuosa fiorentina, chiamata Bigonci4, che fu molto gentile con me e mi disse che l’avevo amata, quando ero ancora fanciullo e abate: mi raccontò anche alcune circostanze che mi dimostrarono che la cosa era possibilissima, ma non riuscii a ricordarmi la sua faccia. La rividi sei anni dopo a Firenze, insieme alla Denis, che abitava con lei.
Il giorno dopo lasciai Memel e verso mezzogiorno, in piena campagna, un uomo che riconobbi subito per ebreo venne a dirmi che mi trovavo su una lingua di terra appartenente alla Polonia e che dovevo perciò pagare un certo diritto di dogana per le merci che potevo avere. Gli dissi che non portavo mercanzie con me, e quello mi rispose che doveva ispezionarmi. Gli ribattei che era pazzo e ordinai al mio cocchiere di andare avanti. L’ebreo, però, si attaccò al fianco dei cavalli e il cocchiere non osò sbarazzarsi di lui con la frusta. Allora scesi io con il bastone e la pistola in mano e lo cacciai. Durante tutto quel diverbio, il mio compagno di viaggio non si era dato neppure la pena di scendere dalla carrozza e quando gli chiesi ragione del suo comportamento si giustificò dicendo che non voleva che l’ebreo potesse dire che l’avevamo affrontato due contro uno.
Due giorni dopo quell’avventura arrivai a Mittau5 e presi alloggio di fronte al castello6. Nella borsa mi restavano tre ducati soltanto.
Il giorno dopo, alle nove, andai da Kaiserling che, appena ebbe letto la lettera del barone Treiden, mi presentò a sua moglie e mi lasciò con lei per andare a corte a portare alla duchessa la lettera di suo fratello.
La signora Kaiserling mi fece servire una tazza di cioccolata. La cameriera polacca che me la portò era di una bellezza abbagliante e a vedermela lì davanti con il piattino in mano e gli occhi bassi, come se avesse voluto lasciarmi libero di esaminare con calma la sua rara bellezza, mi venne un capriccio cui non seppi resistere: tirai velocemente fuori di tasca i miei tre unici ducati e li misi sul piattino insieme alla tazza. Quindi, risposi ad alcune domande che la signora mi aveva fatto su Berlino.
Circa mezz’ora dopo rientrò il cancelliere: la duchessa, mi spiegò, non poteva ricevermi subito, ma mi invitava a cena e al ballo. Mi dispensai subito dal ballo, dicendo, come di fatto era, che avevo solo due abiti estivi e un abito nero, quando ormai si era agli inizi d’ottobre e faceva freddo. Il cancelliere allora tornò a corte e io in albergo.
Una mezz’ora dopo mi fu annunciata una visita: era un ciambellano che veniva a ossequiarmi da parte di Sua Altezza e a dirmi che il ballo era mascherato e quindi avei potuto andarci in domino: ne avrei trovato uno dagli ebrei.
«Il ballo», mi spiegò, «era in abito di gala, ma alcuni messi di corte sono andati ad avvertire tutta la nobiltà che sarà in maschera perché uno straniero, che si trovava a Mittau di passaggio, ha già mandato avanti le sue valigie».
Mi dissi dispiaciuto di essere la causa di un simile cambiamento, ma il ciambellano mi assicurò che il ballo mascherato era più libero e più nei gusti del Paese. Quindi, dopo avermi letto l’ora del ballo, se ne andò.
Poiché la moneta di Prussia non ha corso in Russia, venne un ebreo per chiedermi se avevo dei federici7, offrendosi, nel caso, di darmi in cambio ducati senza farmi perdere niente. Gli risposi che avevo solo ducati e lui mi disse che lo sapeva, così come era al corrente che li avrei ceduti a un prezzo molto conveniente. Proprio non mi riusciva di capire cosa volesse dire, ma l’ebreo mi spiegò che mi avrebbe versato duecento ducati, se poi glieli avessi fatti rimborsare in rubli a Pietroburgo. Un po’ sorpreso dalla sua faciloneria, gli dissi che ne avrei accettati solo cento, e allora quello me li versò immediatamente, dietro rilascio di un mandato sul banchiere Demetrio Papanelopolo, per il quale Dall’Oglio mi aveva dato una lettera. L’uomo mi ringraziò calorosamente e poi se ne andò dicendomi che mi avrebbe mandato qualche domino. Lambert lo seguì per ordinargli anche delle calze, e così poté riferirmi che l’ebreo aveva detto all’albergatore che gettavo i ducati dalla finestra perché ne avevo dati tre a una cameriera. Questo dimostra che tutto al mondo risulta facile o difficile solo in conseguenza del nostro modo di agire e dei capricci della fortuna. Di fatto, senza la guasconata dei tre ducati, non avrei trovato un soldo a Mittau. Il mio, certo, era stato un gesto stravagante, e la ragazza l’aveva senz’altro raccontato subito in giro: così l’ebreo, per guadagnare sul cambio, era corso immediatamente a offrire tutti i ducati che poteva al magnifico signore che li teneva così poco in conto.
All’ora indicata, mi feci portare a corte e là Kaiserling mi presentò subito alla duchessa, che a sua volta mi introdusse presso il duca, che era il celebre Biron o Birhen, il quale era stato il favorito dell’imperatrice Anna Ivanovna e reggente di Russia dopo la sua morte e poi era stato condannato a vivere in Siberia per vent’anni: era un omone alto sei piedi, e si vedeva che era stato bello, ma la vecchiaia distrugge tutto. Due giorni dopo ebbi con lui un lungo colloquio.
Ero arrivato da un quarto d’ora, quando il ballo fu aperto con una polacca. Poiché ero straniero, la duchessa si credette in dovere di accordarmi l’onore di danzare con lei. Non conoscevo quel tipo di ballo, ma è così facile che tutti lo sanno danzare senza aver bisogno di impararlo: dopo tutto, altro non è che una sorta di processione composta da parecchie coppie, la prima delle quali è padrona di dirigere i giri a destra o a sinistra. I suoi passi e i suoi gesti, in verità, sono piuttosto schematici, ma ciò non impedisce alle coppie di mettere in mostra la propria grazia. In pratica la polacca è una danza estremamente maestosa e nel contempo semplice, e tutte le persone che la ballano possono fare bella figura.
Dopo la polacca iniziarono i minuetti, e una signora abbastanza matura mi domandò se sapevo danzare l’Amabile vincitore8. Le risposi di sì, per nulla stupito della sua domanda, perché la donna poteva ben aver brillato in quel tipo di ballo durante la sua giovinezza. Di fatto, non era più in uso dal tempo della Reggenza, e fu una sorpresa per le giovani presenti.
Dopo una grande contraddanza in cui fui il cavaliere della signorina Manteuffel, la più bella delle quattro frailes9 della signora duchessa, la duchessa mi fece avvertire che la cena era servita. Andai dunque a offrire il braccio alla duchessa e mi ritrovai seduto vicino a lei attorno a una tavola di dodici coperti alla quale ero il solo uomo. Le altre dodici commensali, infatti, erano tutte vecchie vedove con ricchi vitalizi e fui non poco sorpreso di scoprire che nella cittadina di Mittau vi fossero nell’aristocrazia tante matrone di quell’età. La sovrana mi usò la gentilezza di rivolgermi sempre la parola e alla fine della cena mi offrì un bicchiere di liquore che pensai fosse Tokai, mentre non era che vecchia birra d’Inghilterra: naturalmente, ne lodai la grande bontà. Finita la cena, tornammo nella sala da ballo.
Lo stesso giovane ciambellano che mi aveva invitato alla serata provvide, nel corso del ballo, a presentarmi tutte le nobildonne della città, ma non ebbi il tempo di fare la corte a nessuna.
L’indomani pranzai da Kaiserling e affidai Lambert a un ebreo perché lo vestisse decentemente.
Il giorno successivo fui invitato a pranzo a corte con il duca e quella volta gli invitati erano solo uomini. Il vecchio principe mi fece sempre parlare e poiché, verso la fine del pranzo, il discorso era caduto sulle ricchezze del Paese che consistono esclusivamente in miniere e semiminerali, osai dire che tali ricchezze, derivando dallo sfruttamento di beni naturali, avrebbero potuto esaurirsi e per giustificare la mia asserzione, parlai su quell’argomento come se lo conoscessi alla perfezione. Un vecchio ciambellano che curava tutte le miniere della Curlandia e della Senigallia, dopo avermi lasciato dire tutto quello che l’entusiasmo mi fece uscire di bocca, entrò anche lui in argomento per farmi alcune obiezioni, non senza però approvare ciò che avevo potuto dire di plausibile.
Se quando avevo cominciato a parlare da semplice dilettante avessi saputo che sarei stato ascoltato come un vero esperto avrei sicuramente detto meno, perché ero completamente digiuno della materia, ma ci avrei rimesso perché non mi sarei imposto all’attenzione generale e, soprattutto, il duca non avrebbe mai potuto immaginare che fossi dottissimo. Dopo pranzo, infatti, egli mi accompagnò nel suo studio dove mi pregò di concedergli quindici giorni, se non avevo proprio fretta di recarmi a Pietroburgo.
Gli risposi che ero a sua disposizione, e allora mi disse che il ciambellano che era intervenuto a parlare mi avrebbe accompagnato a visitare tutti gli stabilimenti minerari dei suoi ducati e che dovevo essere così gentile da scrivere tutte le mie osservazioni sulla loro organizzazione economica. Acconsentii subito e la mia partenza fu senz’altro fissata per due giorni dopo. Il duca, felice che assecondassi i suoi desideri, fece immediatamente chiamare il ciambellano, il quale mi promise che all’alba si sarebbe trovato alla porta del mio albergo con una carrozza a sei cavalli.
Appena a casa, feci i bagagli e avvertii Lambert che si preparasse a partire con me con la sua scatola di compassi, e quando lo informai di che cosa si trattava mi assicurò che, sebbene non si intendesse di miniere, avrebbe fatto volentieri tutto ciò che poteva.
Partimmo all’ora stabilita. Nella carrozza eravamo in tre, io, il ciambellano e Lambert. Dietro, invece, c’era un domestico e altri due ci precedevano a cavallo armati di sciabola e fucile. Ogni due o tre ore arrivavamo in qualche posto dove cambiavamo cavalli e ci rifocillavamo mangiando qualche cosa e bevendo del buon vino del Reno o di Francia, di cui avevamo con noi un’abbondante provvista.
Nel nostro giro, che durò quindici giorni, ci fermammo in cinque luoghi dove c’erano miniere di rame o di ferro. Quanto a me, non ebbi bisogno di essere particolarmente esperto per scrivere dappertutto qualche cosa: bastava saper ragionare. Curai soprattutto il lato economico della faccenda, che il duca mi aveva particolarmente raccomandato. Così, in un posto facevo cambiare quel che trovavo inutile e in un altro ordinavo un aumento di manodopera per aumentare il reddito. Invece in una delle miniere più importanti, dove venivano impiegati nel lavoro trenta uomini, ordinai che fosse costruito un canale, derivandolo da un fiumiciattolo. Infatti, il canale, sebbene brevissimo, grazie alla sua forte pendenza, all’apertura di una chiusa avrebbe fatto girare tre ruote che avrebbero permesso al direttore della miniera di risparmiare venti uomini. Lambert, seguendo le mie istruzioni, tracciò perfettamente il piano dell’opera: misurò le altezze, disegnò la chiusa e le ruote e provvide personalmente a segnare sul terreno i livelli di pendenza per delimitare a destra e a sinistra il canale fino al suo sbocco. Con vari altri canali prosciugai poi alcune grandi vallate per raccogliere più abbondantemente lo zolfo e il vetriolo di cui erano impregnate le terre che esaminavamo.
Tornai a Mittau felice non solo di non aver imbrogliato nessuno, ma anche di aver fatto lavorare il cervello e di essermi così scoperto un talento che non sapevo d’avere. Passai tutto il giorno successivo al rientro a mettere in bella copia le mie osservazioni e a far riportare in una scala più grande i disegni che intendevo allegare.
Due giorni dopo, mi recai dal duca per presentargli le mie osservazioni e, nello stesso tempo, per congedarmi da lui. Il duca mostrò di essere molto grato del lavoro che avevo fatto e io mi limitai a dirgli che ero io che lo ringraziavo dell’onore che mi aveva concesso. Quindi, quando seppe che intendevo partire, mi disse che mi avrebbe fatto accompagnare a Riga con una delle sue carrozze e mi avrebbe dato una lettera per il principe Carlo, suo figlio, che era di guarnigione in quella città. Poi, da quel vecchio saggio e pieno di esperienza che era, mi chiese se preferivo che mi donasse un gioiello o il corrispondente valore in denaro. Gli risposi che da un principe come lui preferivo ricevere del denaro, benché in verità mi sentissi sufficientemente ripagato dall’onore di baciargli la mano. Allora egli mi diede un biglietto con cui ordinava al suo tesoriere di pagarmi a vista quattrocento albertsthaler10 che riscossi poi in ducati d’Olanda, coniati alla zecca di Mittau. L’albertsthaler vale mezzo ducato. Mi recai quindi a baciar la mano alla signora duchessa e pranzai per la seconda volta con Kaiserling.
Il mattino dopo, il giovane ciambellano mi portò la lettera del duca per suo figlio e mi augurò buon viaggio, dicendomi che la carrozza di corte per accompagnarmi a Riga era alla porta dell’albergo. Partii soddisfatto, con il mio balbuziente Lambert e a mezzogiorno, dopo aver cambiato cavalli a metà strada, ero già a Riga, dove per prima cosa mandai la lettera del duca a suo figlio, general maggiore al servizio della Russia, ciambellano e cavaliere di Alessandro Newski11.
* Tratto da: Giacomo Casanova, Storia della mia vita, Mondadori, Milano 1989, pp. 180-187
1 Probabilmente Dietrich Carl Keyserlingk.
2 Hans von Lehwald.
3 Fjodor Voejkov.
4 Caterina Bregonzi, cantante allora già in declino dal momento che si era esibita a Venezia nel 1741, quando era “Virtuosa di camera di S.A.S. Eleonora di Guastalla, vedova di Parma”.
5 Casanova arrivò a Mitau il 30 settembre 1764.
6 Il castello di Mitau, costruito dal Rastrelli, in stile rococò, tra il 1738 e il 1772.
7 Il “Friedrich” (Friedrichsd’or, Friedrichsthaler) era una moneta d’oro battuta per la prima volta in piccole quantità da Federico Guglielmo I e poi in grande quantità dopo il 1764 da Federico II e dai suoi successori.
8 Danza galante creata da Précourt, successore di Deauchamp, maestro di danza di Luigi XVI. Una descrizione di questa danza, che come le altre di Précourt si diffuse fra tutta la società dell’epoca, è contenuta nella celebre Chorégraphie or l’Art d’écrire les danses di Feuillet de Dassais (1700).
9 Espressione usata da Casanova per rendere in francese il tedesco Fraulein, che a quel tempo indicava una fanciulla nobile o comunque di buona nascita. Qui si tratta delle damigelle d’onore della duchessa.
10 Moneta d’oro coniata per la prima volta nel 1598 da Alberto, granduca d’Austria (1559-1621), all’epoca del suo matrimonio con la figlia di Filippo II di Spagna.
11 L’Ordine di Aleksandr Nevskij, il più importante di tutto l’impero russo, era di un’unica classe. Istituito da Pietro il Grande nel 1722 in onore del santo Aleksandr Nevskij (1218-1263), granduca e capitano molto venerato in Russia, fu conferito la prima volta da Caterina I nel 1725. Il principe Carlo di Curlandia venne fatto cavaliere di questo ordine da Pietro II, nel 1762.
Tratto da "Fili d'ambra. Il Rinascimento del Baltico." di Mario Geymonat e Giampiero Mele, Sandro Teti Editore.