IL COLORE VERDE ATTRAVERSO GLI OCCHI DELLO SCRITTORE LETTONE IMANTS ZIEDONIS

02.12.2014. 19:09

Favola verde

di Imants Ziedonis

Una notte in città arrivò il bosco.
All’inizio la gente non capiva cosa stava accadendo. Per via Pernava, per via Lenin, per via Lubana, per tutte le strade che portavano al centro di Riga una puzza irrespirabile correva a cercare riparo.
Da tutte le periferie della città la puzza era inseguita da una nebbia verde, che profumava di aghi di pino e di fiori, proprio come un vero bosco, e tutta la puzza era in pericolo per l’incedere di quella nebbia verde, tanto da trattenere il fiato.
“Aiuto!” gridava la puzza e scappando si lasciava dietro cattivi odori.
Venne mezzanotte, i filobus se ne andarono a dormire in deposito e si misero a raccontare che la stazione dei bus nel viale di Daugavmala era già stata occupata e gli autobus tutti bloccati: il muschio verde si era intrufolato nei tubi di scappamento delle macchine e gli autobus sbuffavano e soffocavano fino a spengersi. Il bosco non toccò i filobus, ma bloccò solo le macchine, che producevano gas dannosi per il respiro degli uomini. Mise fuori uso i taxi e le altre macchine a benzina. Gli autocarri intanto venivano interrogati – avete lasciato nel bosco spazzatura, lattine, rifiuti, stracci? Toccava ai ginepri eseguire gli interrogatori. Si ricordavano di tutto, delle persone che raccogliendo i frutti di bosco strappavano via anche tutta la pianta, delle persone che tagliavano il cuore e le parole agli alberi, che scorticavano le betulle, che strappavano la corteccia agli altri alberi, che spaccavano bottiglie. Ricordavano tutto. Soprattutto ricordavano i numeri di targa delle macchine che passando per il bosco, avevano strappato le radici e impuzzolentito tutto.
Ben presto il cuore della città si riempì sempre più di puzza, che fuggiva da tutte le parti della città verso il centro. Del resto dove altro scappare? Da ogni periferia della città avanzava il bosco. Solo allora la gente capì, quanto la città fosse puzzolente: puzzo di benzina, puzza di fumo di carbone, tutti gli altri puzzi di fumo, il puzzo di tutte le fabbriche, e di tutti i cassonetti dell’immondizia, le puzze dei gatti, la puzza di marcio, le puzze delle colla, quelle della vodka.
Tutte quelle puzze erano sospese in aria, si scavalcavano l’una con l’altra, lamentandosi l’una con l’altra, spingendosi, e l’aria diventava così densa che non si riusciva a tagliarla neanche con l’accetta.
Anzi, se alzavi un’accetta in aria, far scendere la lama era impossibile, semplicemente l’accetta se ne restava appesa in su. L’aria era così densa che sembrava liquida, e la gente aveva difficoltà a camminare. Tu saprai, quanto è difficile camminare quando si è in acqua, avanzare mentre l’acqua ti arriva alla pancia, e poi al petto, figuriamoci su fino alla testa! Ecco, l’aria era così densa come acqua e così alta da arrivare fino alla testa.
Alcuni ragazzi, che avevano gonfiato dei canotti, cercavano di navigare con quelli per le strade, e in alcuni posti ci riuscivano. Una rana che saltava nel parco, non era più riuscita a tornare a terra, restando in aria a zompettare fra le puzze.
Qualcuno cercava di saltare dalla finestra giù dal secondo piano, e non succedeva proprio niente – come saltare in acqua o su un materasso, sembrava di atterrare su di un pagliericcio di piume di puzzo, fitto e denso.
Dal bosco verso il centro della città se ne scappava anche il rumore. I ruggiti delle macchine, lo sferraglìo dei tramvai, i colpi dei martelli: ovunque frastuono e trambusto.
Il frastuono è frastuono, non può fare a meno di frastornare, cerca ogni luogo dove far fracasso. Si infila fra due poli elettrici o fra due sbarre e martella nel mezzo, finché non ti si chiudono le orecchie. Intanto il boato soffiava dentro tutte le tubature che gli capitavano davanti, per esempio quelle che fanno scorre l’acqua nelle grondaie delle case.
In poche parole, i rumori venivano scacciati e fatti fuggire dai loro luoghi abituali, tanto che quelli non sapevano più cosa fare. Il rimbombo balzò sui tetti di lamiera, mentre il frastuono decise di trascinare per strada una vasca piena di bottiglie vuote. Questo rumore era proprio insopportabile.
E che polvere! Tutta la città adesso era piena di polvere che, spaventata dall’avanzata delbosco, si rifugiava in centro. Si infilava dappertutto. La mattina la voce della radio all’inizio era così piena di polvere che cominciò a tossire e solo dopo poté iniziare a parlare. La gente non riusciva a sentire, perché anche le persone si erano ritrovate le orecchie piene di polvere e non riuscivano a pulirle. Ci voleva un aspirapolvere. Le case erano ricoperte di polvere e avevano perso i loro colori; polvere persino sui numeri dei palazzi, tanto che non si riusciva nemmeno a leggerli. Anche le persone avevano uno strato di polvere addosso e non si distinguevano uno dall’altro, e tutti si meravigliavano perché nessuno aveva mai visto prima così tanta polvere in città. Sì, d’accordo, ogni tanto sopra le scarpe, sull’orlo dei pantaloni… ma non così tanta, mai si era vista una tale nuvola di polvere!
Intanto il bosco avanzava sempre di più. Lo precedeva una grande onda di nebbiolina verde. Aveva il profumo degli aghi di pino e dell’aria subito dopo un temporale. Si infilava dentro le finestre aperte e nei buchi della serratura, entrava dai camini e dalle prese d’aria delle stanze, e la gente iniziò a respirare meglio. Avanzava un profumo di muschio e funghi, ma ancora le persone dormivano e non potevano accorgersi di quello che stava per accadere. Anche quelli che di solito passavano notti insonni e agitate, quella volta vennero presi da un sonno dolcissimo come mai prima.
Fu la spazzina a svegliarsi per prima – scese in strada – e non si raccapezzava dalla meraviglia: dal manico della scopa erano spuntati piccoli ramoscelli! E la stessa saggina si riempiva di foglie!
I portoni delle case sulle strade, che avevano perso il loro colore, si ricoprirono di aghi di pino. Anche le porte interne delle case, dove era giunta abbastanza nebbia verde, si ritrovarono rivestite di piccoli aghi di conifere, ramoscelli e germogli. Gli armadi rassomigliavano a una grande giungla di cespugli, mentre le gambe delle sedie mettevano radici dentro al pavimento. Alcuni mobili si
ricoprivano di betulle, altri di foglie di frassino, mentre dal pavimento cresceva una piccola prole di piantine. Nel cesto di vimini spuntavano piccole foglioline che si intrufolavano fra i gomitoli e il televisore si era riempito di piante, tanto che la spazzina dovette ritagliare il riquadro dello schermo con le forbici: quella sera era in programma “Via col fungo”. Quando la spazzina guardò fuori dalla finestra, si sentì completamente confusa – per la strada stavano passeggiando dei pini! Grandi, dal tronco marrone chiaro, mentre sulla strada si stendeva una coperta verde di muschio e – cos’altro ancora? Un fungo? Un fungo! Ma sì carissimi! Un fungo porcino! La spazzina prese coltello e cestino e si mise a rincorrere il fungo. Lo inseguì fino all’incrocio della strada. Ma poi si accorse, che non c’era bisogno di correre: i funghi le venivano incontro uno dopo l’altro, dritti dritti verso di lei, e così alla spazzina bastò sedersi su un lato del marciapiede, si mise vicino il cestino e – come passava un fungo, lo coglieva e lo ficcava dentro il cestino. Che gioia! Ben presto tutta la strada fu piena di cercatori di funghi, ma il bosco continuava a riversarsi sulle strade come un fiume verde in piena, e i cercatori di funghi assomigliavano a dei pescatori sulle rive.
Per altre strade sfilavano i noccioli, lunghi rami verdi strusciavano sulle finestre dei palazzi, tanto che persino qualche pigrone che non voleva scendere per strada poteva cogliere le nocciole dal balcone.
I fiammiferi intanto uscivano dalla loro scatoline e montavano l’uno sopra l’altro, fino a formare dei piccoli pioppi, dato che loro erano fatti proprio di legno di pioppo. Allo stesso modo, raggruppandosi insieme, anche le matite e i pennini si trasformarono in un verde ontano. Sci, slittini e mazze da hockey si tramutarono in piante, germogliando, mentre sul giavellotto del campione Lūsis* spuntarono foglie di alloro. Il bastone di un invalido di guerra prese la forma di un piccolo abete. I banchi di scuola erano immersi in una foresta e gli studenti la mattina facevano fatica ad infilarcisi dentro. Quelli più grandi riuscivano ancora a far spuntare la testa dai cespugli, ma i più piccoli, beh loro si erano già persi in tutto quel verde, e quando l’insegnante chiamò il piccolo Giovanni, quello forse smarritosi fra quelle fronde non rispose. L’insegnante pensò che fosse perché non aveva fatto i compiti. Quindi lo chiamò una seconda volta. Di nuovo Giovanni non rispose, e la classe cominciò a cercarlo, finché non lo trovarono sotto un banco pieno di foglie rampicanti. Si può proprio dire che Giovanni si era imboscato.
Intanto per le strade avanzava sempre di più il bosco e gli aghi di pino e le foglie cadevano sui capelli delle persone, sulle barbe e sulle borse, finché il bosco si ritrovò nel centro della città.
Da ogni parte piombava in centro una nebbiolina verde, la profumata nebbiolina verde, e iniziò l’ultima e decisiva battaglia. Le puzze non volevano arrendersi.
Le puzze mordevano le cime dei pini, staccavano a morsi i fiori e li facevano seccare. I rumori inseguivano i mirtilli rossi, scalciando e battendo, tiravano per le orecchie gli abeti, colpivano in testa i funghi porcini. La polvere ricopriva i fiori per soffocarli.
Ma il bosco avanzava senza sosta ed aveva così tanti fiori e foglie, che i rumori furono presto ricoperti dal muschio. Quelli ancora correvano e si dimenavano, ma sempre più morbidi e ovattati, via via diventavano più pesanti, finché non caddero, e sopra di loro si formò una collinetta verde e silenziosa. Il bosco aspirava nelle sue verdi narici la polvere grigia della città, tossiva e starnutiva, finché l’aria diventava di nuovo pulita e verde cristallina. Solo la puzza continuava a combattere. La puzza era ancora tanta, certe puzze erano persino velenose. Alcune in nessun altro modo potevano essere distrutte: il bosco doveva aspirarle. Ma come il pino aspirò nel suo petto il puzzo di benzina, gli cascò la cima. Come la betulla assorbì il fumo del carbone, la sua corteccia divenne completamente nera e tutti capirono che per la betulla era la fine. Tuttavia ogni albero della foresta combatté con coraggio e altruismo.
Le orchidee affrontarono l’odore di benzina e ne morirono a interi squadroni. Furono colpiti i ciliegi, abbattute le betulle, caddero avvelenate le bacche dei sorbi e le ghiande, ma il bosco aveva una grande, grande verde vita. Il bosco non si può sconfiggere, e verso sera, il ginepro morse l’ultimo puzzo, l’unica puzzola rimasta ancora in giro! Il bosco aveva vinto!
Poi come era arrivato, la notte successiva altrettanto improvvisamente il bosco se ne andò, lasciandosi dietro un lungo respiro verde tutte le strade, le porte e i cortili della città.

In quella città il respiro verde visse ancora a lungo, finché rumori e puzze ripresero il sopravvento, ma adesso la gente sapeva che almeno una volta all’anno in città giungeva il bosco, il verde, verde bosco… così verde e così pulito come nient’altro al mondo. Quando qualche volta sulla città cadeva pioggia verde e nelle pozzanghere per le strade galleggiava polvere verde, la gente sapeva che tutto quello proveniva dai fiori dei pini e guardando a lungo le pozzanghere capivano: il verde bosco sta per arrivare.
Il soffio verde del bosco, le sue verdi sopracciglia, le tasche verdi piene di cavallette. Mette una mano nella verde tasca e semina cavallette di fronte all’ufficio postale, alla stazione, nei negozi, per le strade. Le cavallette per la città saltano e cantano e gli uomini camminano facendo attenzione a non calpestarle. Il tramvai si ferma e il conducente scende dalla cabina e toglie le cavallette dai binari per non investirle.
Ogni anno il verde bosco giungeva in città e azzannava puzze e fetore, metteva sotto silenzio i rumori e scacciava le polveri. Ma ti ricordi l’anno scorso quando venne il bosco in città? Quando poi se ne andò, fu proprio un dispiacere, tutti avrebbero voluto andarsene con lui. Quest’anno tornerà di nuovo. Solo, nessuno sa quando. Io sono stato nel bosco ieri. Mi sono messo in ascolto, ho osservato – nessun segno.
Allora ho chiesto? “Non vieni in città?”.
Nessuna risposta. Silenzio.
Il grande, verde bosco.
Grande, grande, verde, verde bosco.

*Jānis Lūsis, campione olimpico di giavellotto nel 1968

Trad. Paolo Pantaleo - [Diritti riservati]

Tit. originale: “Zaļā pasaka”, dalla raccolta “Krāsainas pasakas” (Favole colorate)