La cometa rossa*
cronaca di un incontro
di Chiara Macconi
Aspasia
Il dolore e la gioia
Il dolore ritorna; tu puoi
a ogni passo della tua vita
incontrarlo, e infilar la collana
delle sue perle nere.
Ma la gioia, quel flutto potente
di gioia che scorre nel sangue
come un fiume che passa le rive,
quella viene una volta, una sola,
e ti distrugge il cuore.
(da: Poeti lettoni contemporanei, a cura di M. Rasupe,
trad. Diego Valeri, Sandron, Roma 1946)
Parte prima
Primavera
Forse il nibbio nel suo volo avrebbe potuto accorgersi di quel monumento o forse lui neppure. Io vivo altrove ma vengo qui nei fine settimana, e l’ho scoperto accompagnando fuori il cane. Per la verità non è molto visibile questo monumento, qualche gradino giù dalla strada, in una specie di giardinetto in mezzo alle case, vicino a una di quelle scale che permettono la discesa verso il lago. Sì, il giardinetto è ben tenuto, come ogni cosa pubblica, qui. C’è anche una piccola fontana antica addossata al muro, c’è verde ma soprattutto è come un pianerottolo riparato da cui guardare il lago. Difficilmente si passa da lì. È il portare fuori il cane che ti predispone alla passeggiata, alla ricerca e forse anche all’avventura.
È una lapide che coinvolge due persone, un uomo e una donna, lo si capisce dal medaglione di bronzo sul parallelepipedo di marmo. Certamente commemorativo e non particolarmente bello: lui si chiama Rainis e lei per esclusione è Aspasia. Una scritta di bronzo in un’altra lingua e uno stemma importante. Dall’altra parte di quel parallelepipedo una targa ulteriore ricorda il cavallo alato d’oro. Mi chiedo se c’è un nesso fra le due cose.
Sono sorpresa e incuriosita da questa inaccessibilità. Ricordo di essere passata parecchie volte davanti al monumento, da una parte e dall’altra e di essermi chiesta cosa fosse. Un giorno mi sono accorta di un’ulteriore targa sull’unico lato stretto dove non avevo mai guardato. Lì c’erano indizi e da lì ho iniziato una ricerca. Questa è la cronaca di quella ricerca che è diventata un viaggio.
Questo è anche un atto d’amore e di speranza per la comprensione impossibile fra uomini e donne.
Febbraio 1999
Il monumento a Rainis e Aspasia non è molto bello con questo pezzo squadrato e massiccio di marmo: solo due nomi, un medaglione di bronzo con i due visi in altorilievo, di profilo, e una scritta in una lingua sconosciuta che sembra venire dal nord Europa. Questo monumento sembra ricordare qualcuno che tutti conoscono, se è così poco informativo, oppure allude a qualcosa che pochi altri sanno. I due visi in foggia ottocentesca, baffi cadenti, viso serio lui, capelli lunghi raccolti e gonfi lei. Potrebbero sembrare due bisnonni, quelli dei ritratti formali nel salotto buono. Il fatto che siano all’aperto e in bronzo ne indica una certa notorietà. Ma la forma del monumento è così squadrata… così grigia…
25 febbraio
Mi è venuta l’influenza di domenica che mi ha costretto a starmene qui per una settimana, proprio a letto. Qui la vista ti compensa della malattia: il silenzio è grande. Lo sguardo sul lago, dove i piani di prospettiva sono molteplici e digradanti, allunga quasi le mie possibilità. E tanto verde. Dove potrà arrivare lo sguardo? Oggi, giovedì, sto meglio, c’è il sole ed è l’unica possibilità per andare all’Archivio. È un piccolo segreto, non so neanche io perché, ma sento che qualcosa di mio deve essere preservato. Non voglio battute semplici o scherzose o banali. Mi sento un po’ debole mentre mi vesto per uscire. Questa influenza è stata davvero forte e non ricordo il tempo di aver dormito per due giorni di seguito, come abbandonata. Vado all’Archivio: è molto vicino a casa mia. Basta fare scale, qui ce ne sono molte.
Ho trovato un signore anziano, gradevole anche se un po’ austero e mi ha mostrato, come se fosse molto ovvio, lo scaffale dei libri di Rainis e Aspasia. Mi ha anche comunicato che il museo era al piano di sopra e sarebbe venuto ad aprirmi la finestra. Ha anche aggiunto che vengono in tanti a visitare il museo di Rainis e Aspasia.
Loro erano lì, nella migliore rappresentazione: una stanzetta con cimeli (mi ha spiegato che Aspasia amava mettersi scialli sulle spalle e qui ne è rimasto uno), fotografie, disegni e libri dei due personaggi. Le scritte a commento delle cose esposte erano molto spesso in lettone, ecco qual era la lingua che non mi suonava sassone e neanche latina. Difficile da capire lo scritto ma ho la possibilità di osservare accuratamente le fotografie e farmi guidare dalle mie percezioni. Mi sembra che tutto questo abbia qualcosa a che fare con me. Sono molto all’erta e annuso con molta curiosità. Spio i visi dell’uomo e della donna in vari momenti della loro vita. Lui sembra un profeta, alto e magro, pochi capelli, baffi spioventi. Lei affascinante nei suoi cappelli a tesa larga, quando era più giovane, e progressivamente un po’ appesantita con i capelli raccolti, gonfi alla moda del tempo. Sono molto contenta di questa scoperta: c’è una pista.
Il custode anziano mi mostra lo scaffale dei libri e mi sento felice all’idea di aver tante cose da leggere su di loro. Delusione! È tutto in lettone e non capisco niente.
Ci sono ventisette tomi di opere complete di Rainis e piccoli libretti di Aspasia insieme ai sei di opere complete. Ho cercato nei raccoglitori e ho trovato ritagli di giornale che raccontano la costruzione del monumento nel 1972 alla memoria del poeta nazionale lettone da parte del Comune di Castagnola in accordo con la società lettone. La piccola targa sul fianco stretto, poco visibile, dice: «Rainis e Aspasia, venuti dalla lontana Lettonia a cercare pace e libertà, il Comune di Castagnola dedica questo lembo di terra alla loro memoria».
Il giardinetto è stato costruito dove era la loro casa, poi distrutta. I resoconti della cerimonia di inaugurazione, alla presenza di autorità locali e lettoni, ci dicono di grandi sottolineature sul ruolo di Rainis. Aspasia non si sente. «Il grande Rainis aveva vissuto fra la nostra gente modestamente e con discrezione». Ecco perché si voleva un monumento non troppo appariscente. Lei c’è solo quando si dice «due poeti che in tempi calamitosi hanno scelto questa terra quale loro seconda patria, onorandola così con la loro grandezza e la loro immortalità». Fra gli intervenuti anche Olga Strunke, moglie dell’artista lettone che ha preparato molti bozzetti e scenografie per Rainis, giunta da Stoccolma, che, parlando in italiano, ha inneggiato al poeta del sole simbolo della nazione lettone. Nel 1972 la Lettonia era stata cancellata come nazione ed era in corso la russificazione: la cerimonia quindi acquistava maggiore rilievo.
Questo Archivio storico è alloggiato in una casetta a due piani con un’aria antica; è un ambiente raccolto. È chiamato Casa Cattaneo perché Carlo Cattaneo vi ha abitato, anche lui esule, in una stanza al secondo piano.
Credevo che non ci fossero mai molti visitatori: stranamente due persone sono venute a cercare informazioni sulla città per una ricerca scolastica e poi è arrivata un’altra persona. Con me quattro!
Oggi è stata una giornata fruttuosa perché ho scoperto chi sono stati Rainis e Aspasia. E perché qui c’è un piccolo museo su di loro e perché è arrivato un signore lettone che parlava un po’ d’italiano! Che coincidenze.
* Tratto da: Chiara Macconi, La cometa rossa, Armando editore, Roma 2001, pp. 9-12.
Tratto da "Fili d'ambra. Il Rinascimento del Baltico." di Mario Geymonat e Giampiero Mele, Sandro Teti Editore.