JURIS ZVIRGZDINS

02.12.2014. 19:09

Canti alla periferia dell'Europa

diJurisZvirgzdiņš

Alla periferia dell'Europa, nella ragione del Mar Baltico, fra i boschi dei Germani e le paludi degli Slavi, i popoli Baltici dimorano dai tempi più remoti.

Per sette lunghi secoli le loro terre furono oggetto delle mire di Tedeschi e Danesi, Polacchi, Svedesi e Russi. Sopra quel suolo imperversarono guerra, carestia e peste. Eppure l’anello di fumo sopra il focolare o il canto del gallo nella corte non hanno mai perso, per la mentalità popolare, la loro aura sovrannaturale, personificazioni di divinità benevoli e protettrici. Forse è proprio quest'arcaica concezione del mondo che ha aiutato quei popoli a non scomparire, a sopravvivere, a mantenere una precisa identità culturale. Formalmente cristianizzati nei secoli dodicesimo e tredicesimo, essi a lungo ancora credettero alle loro vecchie divinità pagane, vivendo secondo le leggi degli avi e di natura. E l'eterna circolarità degli anni li legava al Tutto.

È straordinaria la capacità che quelle genti hanno sviluppato, in assenza di una tradizione scritta, per conservare nella memoria collettiva milioni di canti, un'enorme mole di notizie che accompagna ognuno dalla sua venuta al mondo fino alla sua dipartita.

I Balti amano cantare: natura e lavoro, nascita e morte, virtù e feste, come fili di lana multicolori,avvolti ed avviluppati nella matassa del destino, diventanotema dei canti popolari. Ogni canto ha il suo tempo e ogni luogo ha il suo canto. Nella riserva immensa dei canti popolari vi sono anche i “canti birbanti”, che tramandano l'esperienza erotica e sessuale senza ipocrisia né timidezza, chiamando con il loro nome le parti e le attività del corpo umano. Manca la volgarità, non c'èdiletto pornografico, né si gioca a nascondino. Sono canti destinati, in adempimento ad arcaici rituali, per le nozze e per la festa di San Giovanni, la brevissima notte del solstizio estivo dedicata all’amore.

Così hanno vissuto i popoli del Baltico per secoli, fino all’inizio del 1800, quando più stretti si sono fatti i legami economici e culturali con il resto del mondo. Ed ecco che le città crescono e che, nel giro di una generazione,i figli dei contadini diventano intellettuali. Vengono tradotti i classici di tutto il mondo;con avidità e bramosia le letterature straniere sono setacciate, tradottee meditate. Nel giro di un paio di generazioni entrano nel circuito culturale romanticismo e realismo, naturalismo e decadentismo. Poi il ventesimo secolo porta Nietzsche e Marx, D'Annunzio e Przybyszewski...  I tempi si fanno saturi, in cinquant’anni si avvicendano tre rivoluzioni, la prima guerra mondiale e la nascita delle tre Repubbliche indipendenti. Rovina il modello del vecchio mondo e ne sorge uno nuovo.Specchio fedele della realtà, la letteratura registra ogni cambiamento, in particolare la poesia. L'era moderna diviene realtà e le letterature baltiche procedono di pari passo con l'Europa.

Ma con la Seconda guerra mondiale un potere straniero si abbatte sulle terre e sui popoli: come un sudario,inganno e menzogna calano sulla cultura;il pensiero diventa merce di contrabbando, la poesia assume la lingua di Esopo,si arruola nella Resistenza e pure... eppure non scompare!

La terza rinascita è storia di questi ultimi anni. Segnata da scepsi e nichilismo, vicinaad entusiasmi e desideri romantici, ecco sorgere una poesia in cui arcaico e moderno non sono in contrappo­sizione, ma realizzano una sintesi. Ciò che era vitale, è rimasto vivo, durevole, rinvigorito. L'“albero della Vita” –mitologico simbolo fallico e segno di fertilità e di eterno rinnovamentodell'antica religione baltica pagana, radicato fra sottosuolo, terra e cielo –ancora oggi testimonia vitalità culturale e libertà creativa.

Tratto dal libro “Repubbliche Baltiche” di Pietro U. Dini, ClupGuide